L'UVA COL PANE
Capisco ché i paesaggi di mio padre
non avessero allora colori tersi.
Non erano a quei tempi le strade lastricate
e il polverone
s'alzava sulle ruote dei barrocci,
si posava sull'erba e sulle piante
come un velo di tulle.
E quando non veniva un temporale
le altre piogge lasciavano fangosi
i filari dell'uva.
Andavamo a strappare le pigne della "fragola"
ch'erano grigio-viola
strofinandole quindi chicco a chicco
contro la cotonina del grembiule.
Poi tenendo ben stretto l'acino fra due dita
ci spremevamo in bocca scivolose delizie.
"Mi dicono che faccio cose spente!"
E la cenere usciva dai camini
dei forni a legna,
si mischiava alla crosta del pane
insieme a qualche scoria di carbone.
"La vuoi una pagnottina bella calda?"
E mangiavamo allora l'uva col pane.